terzi livelli di lettura

Il Duca di Montalcinello

In Toscana esiste una piccola borgata, frazione del comune di Chiusdino (SI), dal nome Montalcinello. In questo paesino un tempo è vissuto un personaggio da tutti conosciuto come “il Duca”. Non era nobile, in verità, non aveva un castello né una corte, né tantomeno un destriero da cavalcare, ma aveva comunque una famiglia numerosa, una casa che aveva costruito con le sue mani, una ciuchina, e terre, che coltivava da solo però.

Si racconta che il titolo di Duca se lo fosse conquistato non per prodi imprese, ma per il suo portamento, la sua invidiabile altezza e gli occhi azzurri, che per gioco i suoi amici fecero valere come tratti inconfondibili da nobile. Le ragazze vittime dello scherzo caddero nella convinzione che egli fosse davvero un signorotto, quindi forse tanto sbagliato quell’appellativo non era. In realtà era un uomo semplice,  schietto, a tratti anche un po’ ruspante, ma leale e generoso, e forse in questo risiede davvero la sua nobiltà.

Evaldo Serpi, detto "Il Duca"

Evaldo Serpi il suo nome.

Dopo una vita spesa a lavorare in campagna e il tempo libero in mezzo ai suoi compaesani, più o meno come fratelli, quando ormai la vita gli aveva regalato una collezione infinita di storie da raccontare, un giorno andò dalla moglie e le disse che voleva scrivere un libro. La moglie un po’ sorpresa avrà pensato che il suo Evaldo l’avesse presa grossa al circolino in piazzetta, invece era tutto vero.

Così nel 1997 uscì il primo libro, dedicato al suo paese: Montalcinello, origine e vicende di una comunità. Documentandosi, chiedendo ad amici ed esperti, rispolverando un po’ i ricordi, il Duca descrisse la storia di questa borgatella che allora contava ben 149 anime (e adesso a fatica supera i 100 abitanti…). A questo esordio editoriale, sempre sulla strada della ricerca e della testimonianza storica, fecero seguito: Vita contadina (Patti agrari), Lo statuto di Montalcinello (2007), testi che documentano le reali dinamiche amministrative e politiche di questo borgo toscano.

Il Duca era anche nonno, e si sa che uno dei primi pensieri per un nonno va ai nipoti e alla loro serenità. Si dedicò perciò alla stesura di due libri per bambini: A raccontar novelle sul canto del fuoco (2003) e su questa scia anche Facciamo una risata prima che finisca la giornata (2007), raccolta di racconti in rima e filastrocche, volumi che vedono anche la partecipazione della nipotina Alice Boschetti in veste di illustratrice.

Ma il Duca aveva anche altre storie da raccontare, storie vissute da lui in prima persona e da amici e conoscenti, e forse per questo più originali e inedite. Con questo spirito scrisse Vita, lavoro, tradizioni di una volta (2004) e “Andava meglio quando s’aveva la ciuca” (2009). Scene di vita contadina, avventure e disavventure di persone semplici e di molto tempo fa, le esilaranti reazioni all’arrivo della tecnologia, raccontate con la lingua locale e i suoi vocaboli un po’ strani, descritte attraverso gli occhi e la mente di chi, cresciuto nella semplicità, nell’essenzialità, sapeva cogliere gli aspetti cruciali delle situazioni.

Da quelle parole, scritte con rispetto e amore per le proprie origini, emerge il ritratto di una generazione che sembra lontana anni-luce dalla mia. Erano persone che possedevano appena una casa, vestiti e qualcosa da mangiare, ma che a quelle condizioni erano abituati, e cercavano di ottenerne il meglio che potevano. Tante volte ricorre la frase “si tornava a casa tutti contenti”. Non avranno avuto le comodità e l’abbondanza in cui siamo abituati a vivere oggi, ma sapevano godere di ciò che avevano. Un bell’insegnamento per noi incontentabili figli del duemila, e forse non l’unico.

Rileggo quelle righe e mi sembra di vederlo e sentirlo parlare il Duca, in piedi, dietro al suo banchetto in giro per le fiere della Toscana, o a veglia, mentre sbucciava un frutto a metà pomeriggio, per fare merenda, o in giro per le strade del paese durante l’annuale Sagra del dolce.
Lui, che di spontanea volontà, ogni anno verso la fine di marzo telefonava e si offriva per l’annuale potatura delle piante dell’orto di casa nostra, lui che quando arrivava, suonava il campanello e al citofono col suo vocione rispondeva “So’ io!” costringendoci a replicare “Io chi?” e per ripagarlo del piacere, era tanto se accettava di fermarsi a pranzo.
Lui e le mille storie fatte di frasi brevi, che finivano sempre in una risata, o i consigli dispensati spontaneamente come un padre anziano, un nonno, o un pro-zio, come era per me, e come diventerà automaticamente per tutti coloro che vorranno sfogliare quelle pagine.